Soccorritori è il termine per definire quelli che lavorano a bordo delle ambulanze per il soccorso extra ospedaliero di emergenza urgenza.
Per cui, per prima cosa, i colleghi giornalisti la smettano, per cortesia e per rispetto, di scrivere “portantini” e “barellieri”. Lo farete? Ma certo che lo farete, siete bravi e capaci.
A bordo delle ambulanze ci sono i soccorritori.
Che non sono sanitari. Per cui anche tutti quelli che scrivono “sanitari” sbagliano. Un po’ perché “sanitari” fa subito lavandino e bidet, un po’ perché i soccorritori sono tecnici del soccorso.
Il soccorritore non rientra nelle professioni sanitarie: medici, infermieri, per intenderci.
[Chi ha copiato il corso del soccorritore sulla scena del crimine cambiando “soccorritore” con “sanitario”, dimostra di non avere idea del suo target.]
Ci sono auto mediche e auto infermieristiche su cui ci stanno medici e infermieri e che vengono inviate nei casi particolarmente gravi in supporto alle ambulanze.
Le ambulanze sono MSB: mezzi di soccorso di base. Ovvero mezzi su cui non ci sono né un medico, né un infermiere.
Trasportano il paziente dal luogo in cui è stato recuperato (strada, casa, stadio, ovunque) al pronto soccorso.
Chi sono i soccorritori?
Tecnici perché lo Stato non poteva chiamarli diversamente. Dato che non c’è una scuola per soccorritori.
I soccorritori si dividono in volontari e dipendenti.
E qui inizia già il primo grande spartiacque. Perché volontari e dipendenti spesso non si comprendono.
I volontari salgono sulle ambulanze senza stipendio una volta la settimana, quando va bene, e una volta ogni tanto, quando va male.
I volontari, quindi, fanno altre cose nella loro vita di tutti i giorni, e alla sera e nei giorni festivi si mettono a disposizione per volontariato.
I dipendenti stanno sulle ambulanze cinque giorni su sette per sei o otto ore al giorno (in base ai contratti e ai turni).
Per i volontari i dipendenti sembrano rappresentare un male necessario. E per i dipendenti i volontari sono quelli che giocano con le sirene.
Un po’ come se esistessero poliziotti o carabinieri volontari.
Le incomprensioni sorgono, inevitabilmente, perché il sistema è bizzarro.
Il tacito mondo del nero
Meglio dirlo subito. Non è una fiaba, non è un idillio. Dietro parecchie associazioni di volontariato ci sono persone senza scrupoli che sfruttando la voglia di fare di altri intascano parecchi soldi.
Pagando i volontari in nero. Che ovviamente smettono di essere volontari.
Il motivo per cui succede sta negli appalti. Piccolo passo indietro, altrimenti ci si perde nei meandri del soccorso extra ospedaliero.
Chi paga?
Come nella migliore tradizione giornalistica, per capirci qualcosa, meglio seguire i soldi.
In nome della sussidiarietà, lo Stato ha demandato alle Regioni il compito di organizzare la rete del soccorso extra ospedaliero.
Le regioni hanno demandato il compito a Enti e Associazioni. Il risultato è che non esiste un soccorso extra ospedaliero nazionale. No, nemmeno la Croce Rossa. Ma questa è un’altra storia.
Ma torniamo ai soldi.
Bandi e spiccioli
La Regione stanzia i fondi da destinare alle aziende regionali di emergenza urgenza (i nomi possono variare da una regione all’altra, ma la sostanza è la stessa).
Ovvero a chi si occupa di gestire il servizio di emergenza urgenza per ogni “settore” regionale.
A quel punto l’azienda regionale di emergenza urgenza apre una gara al ribasso per sottoscrivere le convenzioni, postazioni, con gli enti e le associazioni.
Di chi sono le ambulanze?
La maggior parte delle ambulanze appartiene a enti e associazioni. Che, vinta la gara al ribasso, mettono a disposizione l’ambulanza per un certo numero di ore, in base alla convenzione sottoscritta.
La gara al ribasso rischia davvero di compromettere la qualità del servizio. Funziona così:
Questa postazione vale 100 mila euro. Chi la fa per meno, vince.
Le convenzioni possono essere H24, H12, H8, H6: ambulanze in servizio 24 ore al giorno per sette giorni la settimana, 12 ore al giorno per sette giorni la settimana, e così via.
Quanti soccorritori servono per ogni convenzione?
Parecchi. Gli equipaggi, a Milano città, sono di due o tre (o anche quattro) soccorritori.
E quanto costano? Facile. I volontari sono gratis, i dipendenti no.
Lo Stato si è fermato su questo punto: se c’è gente disposta a lavorare gratis, a fare un lavoro pericoloso (adesso ce ne stiamo accorgendo, ma è sempre stato pericoloso), a rischiare la vita, per niente, perché mai cambiare le cose?
Et voilà. Peccato che la Costituzione dica qualcosina di diverso sul lavoro (perché un conto è fare del volontariato in un gattile, altra cosa è fare il soccorritore sulle ambulanze) e sul diritto alla cura.
Ora, ancora un attimo a seguire i soldi.
L’imprenditore senza scrupoli che metta su la sua bella associazione di volontariato può guadagnarci molto, soprattutto perché per anni (e anni e anni) lo Stato non ha fatto controlli.
E quando li ha fatti, in qualche caso è finita malamente con degli arresti.
Per cui l’imprenditore senza scrupoli sottoscrive, giocando schifosamente al ribasso, la convenzione e mette i volontari sulle ambulanze e, invece di reinvestire (in mezzi, attrezzature, formazione) intasca il denaro e tante care cose.
Potrebbe essere che, per assicurarsi più convenzioni, lanci quattro spiccioli in nero ad alcuni volontari che, improvvisamente, stanno sulle ambulanze come dei dipendenti, ma senza esserlo.
Onlus e lavoro
Ci sono poi quelli convintissimi, perché non si informano e restano ignoranti come una pianta finta, che le associazioni di volontario, le no profit, le onlus, non possano assumere personale.
Le onlus funzionano come le aziende, solo che invece di accumulare profitti, li reinvestono (se mai riescono ad averli) in beni e attrezzature per continuare a esserci.
Parte dei profitti viene destinato allo stipendio del personale dipendente.
Le onlus devono approntare un bilancio, pagano fatture ai fornitori, e comprano ambulanze che non piovono dal cielo.
In alcuni casi le associazioni ricevono donazioni, magari un’ambulanza intera, da generosi benefattori, ma si sa: i mezzi diventano obsoleti, si rompono. E il gasolio costa.
I soldi che l’associazione spende verranno poi rimborsarti dall’azienda di emergenza urgenza con cui ha sottoscritto la convenzione.
Ogni convenzione prevede già quanti soldi verranno rimborsati: chiaro che se ne servono di più, perché magari un’ambulanza si rompe, si rischia di sforare il budget.
Rimborsi e ritardi
Rimborsati: prima li spende e poi li riceve. Buffo, eh? E, in alcune zone d’Italia, non li riceve nemmeno subito. Li riceve in ritardo, molto in ritardo a volte.
Va da sé che gli stipendi dei dipendenti vanno pagati ogni mese. Per cui, in alcuni casi, le associazioni di volontariato che fanno emergenza urgenza si trovano con l’acqua alla gola.
Soccorritori e formazione
Ora che abbiamo seguito i soldi, occupiamoci dei soccorritori.
Dipendenti e volontari ricevono la stessa formazione.
Un corso da 120 ore fatto all’interno di ogni associazione da altri soccorritori dell’associazione che sono diventati formatori dopo aver seguito e superato un corso ad hoc tenuto dall’azienda regionale.
Ogni cittadino (che rientri in limiti di età e stato di salute) può accedere gratuitamente al corso.
Una volta terminato il corso, gli aspiranti soccorritori devono passare un esame tenuto da altri formatori, questa volta dell’azienda regionale di emergenza urgenza.
Passato il corso sono soccorritori.
Tutto il resto è esperienza sul campo.
E qui ci arriverebbe chiunque: chi lavora sulle ambulanze 40 ore la settimana ha un’esperienza di molto superiore a chi ci sta 48 ore al mese (diciamo un turno di 12 ore ogni quattro settimane).
Tralasciando le associazioni che operano in nero, i dipendenti hanno ferie, malattia e tutti i diritti garantiti dal contratto nazionale.
Un sistema che va cambiato
Il sistema funziona. Non bene e non ovunque, ma funziona. In alcune regioni funziona molto bene, in altre non funziona affatto.
Alcune associazioni sono specchiate e investono in altra formazione. Altre associazioni andrebbero chiuse senza farsi troppe domande.
L’emergenza coronavirus ha evidenziato un monte di problemi. In alcuni casi i volontari si sono rifiutati di prendere servizio. E come dargli torto?
A fronte di quelli che si sono rifiutati, ci sono quelli che non ci hanno pensato un attimo e hanno continuato e continuano a stare sulle ambulanze. Ma a che prezzo?
Perché questo sistema rischia di utilizzare i soccorritori come carne da macello. Per una volta, volontari e dipendenti, uniti dallo stesso destino.
Anche l’assessore regionale al welfare, Giulio Gallera, si è accorto che le ambulanze, in caso di crisi, come questa, non bastano.
Negli altri Paesi occidentali il soccorritore è una figura professionale a tutti gli effetti.
Ci sono corsi universitari per formare i soccorritori. E non è particolarmente sorprendente, dato che hanno in mano la vita degli altri. O no?