Vicini di casa che chiamano i carabinieri perché una donna è scesa col figlio di otto anni nel cortile condominiale deserto per fare qualche giro di corsa insieme; uno sconosciuto che fotografa una persona in fila fuori da una farmacia, forse con l’aria troppo spensierata e quindi inadatta al periodo; una donna, a passeggio con un cane, che da lontano insulta e fotografa un’altra donna colpevole di lavorare, con notebook e cellulare, seduta su una panchina del giardino condominiale deserto.
Non ha importanza il luogo specifico: comportamenti di questo tipo accomunano l’Italia, da nord a sud.
Sullo sfondo, politici che invitano i cittadini a segnalare alle autorità comportamenti ritenuti pericolosi per il bene pubblico.
E che così facendo forniscono inconsciamente una risposta a un bisogno primario dell’essere umano: quello di avere un nemico per darsi un’identità, uno scopo.
Individuare un capro espiatorio è una necessità primaria nei momenti di profonda crisi sociale.
L’altro, il nemico
Ora che la paura dello straniero invasore ha perso, per il momento, terreno e il coronavirus è decisamente troppo invisibile per porsi come valida alternativa, il nemico è diventato il vicino di casa, il concittadino.
Qualcuno, in verità, ha provato a incolpare gli immigrati africani di aver portato il virus, ma il risultato non è stato soddisfacente; anche il sospetto, fatto circolare attraverso le solite chat, che gli immigrati, rigorosamente di colore, siano “stranamente immuni” alla piaga del Covid-19 non ha incontrato molto gradimento.
La pandemia esige un nemico più vicino per rendere possibile lo sfogo, se più o meno soddisfacente non saprei dire, della propria frustrazione, della propria ansia, della propria paura.
E allora, i leoni da tastiera si sono trasformati in sceriffi da balcone, in giustizieri da finestra, interpretando in maniera ancora più restrittiva i decreti governativi, causando, se possibile, ancora più caos e invocando, a seconda dei casi, i metodi di Putin o quelli delle Filippine, new entry nelle preferenze di questi tutori dell’ordine fai da te.
Fare, non fare
“Si deve uscire una volta a settimana”, “i bisogni al cane si devono far fare nel vialetto davanti all’ingresso”, “la spazzatura va portata fuori una volta ogni due giorni”, “in farmacia una volta alla settimana”, “ma cosa vanno a comprare il giornale tutti i giorni? Non sarà mica un bene di prima necessità”, “dovrebbe essere proibito comprare merendine, vino, birre. Non sono beni di prima necessità”. E via di seguito, ce n’è per tutti i gusti, insieme a chi si vanta di non uscire da una, due, tre settimane.
Ora, a parte la difficoltà di definire in maniera univoca cosa sia un bene di prima necessità in una società complessa come la nostra (solo venti-trent’anni fa un computer o un cellulare e una buona connessione internet sarebbero stati considerati beni assolutamente superflui, ma oggi?) e lasciando anche in pace il sempre citato Oscar Wilde e la sua convinzione che niente fosse più necessario del superfluo, rimane l’attuale e irrisolvibile questione di dividere il mondo in due fazioni: buoni (io) e cattivi (gli altri), rispettosi delle regole (io) e incoscienti che mettono a rischio la salute pubblica (gli altri).
Il colpevole è sempre l’altro
In mezzo, il nulla: non esistono persone depresse che possono avere bisogno di quella passeggiata quotidiana, nel pieno rispetto delle ordinanze; non esistono situazioni familiari con casi di violenza e sopraffazione; non esistono famiglie di cinque persone costrette a convivere in 40 metri quadrati; non esistono persone sole a cui la semplice possibilità di andare in edicola a prendere il giornale, scambiando un saluto con un altro essere umano, dà la forza di andare avanti. Non esiste nessuno.
Esistiamo noi, che giudichiamo tutto in base alle nostre esperienze, alla nostra realtà, alle nostre paure e alle nostre certezze.
E chi non corrisponde a questa immagine idealizzata – di giorno in giorno sempre più esclusiva, perché all’inizio erano solo i runner, poi si sono aggiunti untori per tutte le occasioni – diventa automaticamente il nemico.
C’è un saggio, illuminante, di Umberto Eco, intitolato Costruire il nemico – contenuto in una raccolta di scritti pubblicata da Bompiani nel 2011 – che tutti, ma proprio tutti, dovrebbero leggere in questi giorni.
È uno scritto breve, basta una mezz’ora di lettura. Non trasuda ottimismo, ma lascia una speranza.
Il bisogno di avere nemici sarà anche ancestrale, ma gli esseri umani, una volta capito questo, non sono disarmati.
A soccorrerli c’è l’etica, che in questo caso non significa impegnarsi in nobili cause, ma cercare di capire l’altro, provando a scardinare cliché, luoghi comuni e stereotipi che spesso ci costruiamo da soli.