Alle tre e mezza del pomeriggio del 22 giugno 1954, due ragazze entrano in una sala da tè del Victoria Park a Christchurch, in Nuova Zelanda.
Si chiamano Pauline Parker e Juliet Hulme, hanno rispettivamente sedici e quindici anni.
Sono terrorizzate, chiedono aiuto perché, dicono tra le lacrime, la madre di Pauline è caduta rovinosamente nel parco e deve aver sbattuto forte la testa, non si muove più e c’è molto, moltissimo sangue.
Le prime persone ad arrivare sul posto si trovano di fronte a una scena terribile.
La scena del crimine
Honora Parker, quarantacinque anni, è morta e non sembra neanche più un essere umano: la sua testa è quasi completamente schiacciata.
Viene chiamata la polizia e la versione delle ragazze fin da subito appare sospetta.
Il corpo della donna presenta quarantacinque ferite che interessano la testa e il viso, segni sul collo che fanno pensare che sia stata trattenuta e contusioni sulle dita riconducibili a un disperato tentativo di difesa.
Sulla scena ci sono sangue e vomito, la borsa e gli effetti personali della vittima sono sparpagliati a terra.
Nel parco, poco lontano dal corpo, viene rinvenuta una pietra avvolta in un collant insanguinato.
L’ipotesi avanzata dopo poche ore dagli inquirenti e quella più terribile. La sera stessa, Pauline viene arrestata con l’accusa di aver ucciso la madre. Il giorno dopo, la polizia arresta anche Juliet.
La notizia, in una cittadina tranquilla come Christchurch, balza subito sulle prime pagine dei giornali. Ma perché le due ragazze hanno ucciso Honora Parker? Motivi economici? Una lite finita male?
La realtà, si scoprirà, è molto più complessa.
Chi sono Pauline e Juliet?
Pauline Parker e Juliet Hulme si conoscono a scuola, la Girl’s High School di Christchurch.
Come tutte le adolescenti, cercano di fuggire dalla quotidianità della famiglia fantasticando su un futuro migliore, più luminoso, più emozionante.
La famiglia Parker
Le ragazze provengono da famiglie molto diverse: Pauline è la seconda figlia di Herbert Rieper e Honora Parker.
I genitori convivono (Herbert non aveva mai divorziato dalla prima moglie) e appartengono alla working class.
Da piccola, Pauline si era ammalata di osteomielite, un’infezione del midollo osseo che l’ha lasciata con una leggera zoppìa e un dolore cronico alla gamba, nonostante i numerosi trattamenti a cui era stata sottoposta dall’età di cinque anni.
Ama scrivere storie e creare statuine modellando la creta.
La famiglia Hulme
Molto diverso il background familiare di Juliet, figlia di Henry Hulme, fisico inglese noto per il suo contributo scientifico alla realizzazione della bomba H diventato poi rettore del Canterbury University College di Christchurch.
Anche l’infanzia di Juliet è segnata dalla malattia: i suoi polmoni funzionano male e a quattordici anni viene ricoverata in un sanatorio, oltre a passare periodi di convalescenza ai Caraibi e in Sudafrica.
Destinazioni paradisiache, se si è in vacanza, ma per lei sono solo fonte di brutti ricordi e di solitudine, lontana dalla famiglia e dagli amici.
Insomma, quando le due ragazze si incontrano, si riconoscono come anime affini e inizia un percorso di amicizia che diventerà sempre più stretto con il passare dei mesi.
Infanzia, malattia e sogni
Pauline e Juliet condividono un’infanzia segnata dalla malattia, e anche una grandissima passione per il cinema e i romanzi.
Entrambe hanno una fantasia spiccata (forse maturata durante i lunghi periodi di isolamento) e piano piano iniziano a inventarsi una vita parallela.
Costruiscono un universo, con la sua cosmogonia, i suoi dèi e i suoi santi. Personaggi come Giulio Cesare, il tenore Caruso, il poeta inglese Rupert Brooke, diventano idoli da venerare e temere.
Le ragazze stesse assumono un’identità romanzesca quando si scrivono fra loro: Juliet è Carlo II imperatore di Borovnia – località inesistente –, Pauline il coraggioso cavaliere Lancelot Trelawney, personaggio di fantasia, che nel complicato intreccio narrato dalle due ragazze diventa lo sposo di Deborah-Juliet.
Il diario di Pauline Parker
Nel suo diario, Pauline chiama Juliet “Deborah”. E, quando si avvicina il momento di uccidere, si riferisce al giorno in cui la madre morirà come “the day of the happy event”, “il giorno del del lieto evento”.
La madre di Pauline era decisamente preoccupata per quell’amicizia così intensa, che sembrava lasciar fuori il mondo intero. Ed era sempre lei, Honora Parker, a opporsi al futuro immaginato dalle ragazze.
Il viaggio
Il padre di Juliet, dimessosi dalla carica di rettore, aveva intenzione di tornare in Inghilterra.
Juliet sarebbe andata invece in Sudafrica, destinazione più favorevole alla sua salute delicata.
Le due amiche progettavano invece qualcosa di diverso: partire insieme alla volta del Sudafrica per poi emigrare in America e diventare scrittrici di successo.
Di una cosa erano sicure: che Honora Parker avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per rovinare il loro sogno. Non avrebbe mai acconsentito a lasciar andare la figlia. Al solo pensiero di quel rifiuto, la rabbia di Pauline cresce, diventa incontrollabile.
Caro diario
Immaginate di avere tra le mani un quaderno con i pensieri di una sedicenne. Con tutta probabilità, se lo apriste leggereste riferimenti a storie d’amore, cotte, problemi a scuola e sicuramente parecchia rabbia nei confronti degli adulti, soprattutto dei genitori.
Ma immaginate di trovarvi di fronte a questi brani scritti da Pauline e usati durante il processo.
13 febbraio 1954: perché mamma non può morire? Dozzine di persone, migliaia di persone muoiono ogni giorno. Perché quindi non può morire mamma. E anche papà?
28 aprile: la rabbia nei confronti di mia madre ribolle dentro di me. E lei il maggior ostacolo sulla mia strada. Improvvisamente, mi è venuto in mente un modo per liberarmi dell’ostacolo.
29 aprile: non ho parlato con Deborah dei miei piani per eliminare mia madre. L’ultima cosa che voglio è finire in un riformatorio. Sto pensando a come fare. Dovrebbe sembrare morte naturale o accidentale…
19 giugno: abbiamo praticamente finito il nostro romanzo, oggi l’argomento che abbiamo discusso è stato come eliminare mia madre. Non è un pensiero nuovo, ma questa volta abbiamo un piano ben preciso, che abbiamo tutta l’intenzione di portare a termine. Ci abbiamo lavorato a lungo e siamo emozionatissime. Ovviamente siamo anche un po’ nervose, ma il piacere dell’attesa è incredibile.
20 giugno: abbiamo discusso i nostri piani per uccidere mamma e li abbiam resi un po’ più chiari e precisi. Strano, non ho rimorsi di coscienza (o forse è strano che siamo così matte!)
21 giugno: abbiamo deciso di usare una pietra in una calza, invece di un sacchetto di sabbia. Abbiamo discusso l’omicidio in tutti i dettagli. Mi sento agitata come se avessi organizzato una festa a sorpresa. Quindi, la prossima volta che scriverò sul diario, mamma sarà morta. Com’è strano. E com’è piacevole.
22 giugno: sto scrivendo queste poche righe la mattina prima della morte. Ieri sera mi sentivo eccitata come la notte di Natale. Però ho fatto brutti sogni.
Il 22 giugno, Honora Parker viene uccisa.
Proteggersi sempre
La sera stessa dell’omicidio, Pauline Parker viene arrestata. La sua responsabilità è fin da subito chiara, ma la polizia cerca di ottenere una confessione e di capire come siano andate esattamente le cose.
Il detective Brown la interroga. Alla domanda “chi ha aggredito tua madre” la risposta è “sono stata io”.
Quando le chiede il motivo dell’omicidio lei dice che preferisce evitare di rispondere alla domanda. Pauline spiega che l’idea di uccidere la madre è scattata qualche giorno prima del delitto, sostiene inoltre che Juliet non ne sapeva nulla, che camminava più avanti rispetto a lei e alla madre e che per questo non ha assistito alla scena.
Si rifiuta di rispondere anche alla domanda “cosa ha detto tua madre quando l’hai attaccata?” e sul numero di colpi inferti dice che non lo sa, che immagina siano stati tanti.
L’arma del delitto
La ragazza confessa di aver usato una pietra avvolta in una calza da donna, che aveva portato per quello scopo.
La cosa importante, per lei è sottolineare il fatto che Juliet è estranea ai fatti, che non sapeva nulla delle sue intenzioni e che al momento dell’omicidio non era nelle immediate vicinanze.
Alla domanda sul perché Juliet abbia dato la stessa versione (cioè che Honora fosse caduta), Pauline dice che l’amica voleva solo proteggerla, appoggiando la sua versione perché aveva compreso come fossero andate realmente le cose.
Conclude con questa frase: “Appena ho iniziato a colpire mia madre mi sono pentita, ma non sono riuscita a fermarmi”.
Nel frattempo, viene interrogata anche Juliet. Gli investigatori la avvertono che la sua versione presenta delle contraddizioni e che sono convinti abbia avuto un ruolo attivo nell’omicidio. Le viene riportata anche una frase di Pauline: “Chiedete a Deborah [lo pseudonimo usato nei diari, N.d.R.] e quello che lei dice andrà bene”.
Le testimonianze
All’inizio, Juliet nega di essere stata vicino all’amica mentre la signora Parker veniva uccisa. Racconta di aver visto nulla, perché, seppur sul sentiero, troppo lontana per sentire o vedere.
Dice anche di aver trovato Honora a terra, una volta tornata sui suoi passi. Pauline le avrebbe quindi spiegato che la madre era caduta, battendo la testa. E lei avrebbe sostenuto questa versione per aiutare l’amica.
Il giorno dopo l’arresto, Juliet richiama il detective Tate, che l’aveva interrogata la sera precedente, scusandosi per averlo ingannato e dicendo di voler raccontare la storia, quella vera.
Spiega quindi che lei e Pauline sono andate al Victoria Park per discutere con Honora del loro trasferimento in Sudafrica.
Dice di essere stata a conoscenza della pietra messa nel collant ma di non averla messa lei e di ignorare quale fosse lo scopo.
Poi però racconta di aver buttato a terra un sassolino rosa sulla strada, mentre camminava davanti a Pauline e a sua madre, e di averlo portato con sé per quello scopo.
La versione di Juliet
“Mi aspettavo che la signora Parker venisse aggredita, ho sentito rumori dietro di me, ho sentito discutere ad alta voce e in maniera rabbiosa. Sono tornata indietro. Pauline e sua madre stavano litigando. Pauline ha colpito la madre con la pietra. Così l’ho colpita anche io, avevo paura, pensavo che una delle due doveva morire e volevo aiutare la mia amica. È stato orribile. La signora Parker si muoveva convulsamente, l’abbiamo tenuta ferma. E poi l’abbiamo lasciata lì, sul sentiero, immobile”.
La versione di Juliet è quella di un omicidio non premeditato: le ragazze volevano convincere Honora a lasciarle andare insieme in Sudafrica. Forse pensavano anche di spaventarla un po’. Ma dopo il primo colpo, è stato subito chiaro che dovevano ucciderla.
Così, anche Juliet confessa. Quello che Pauline ignora è che, nel frattempo, sta cercando di farle avere un biglietto (intercettato poi dalla polizia) nel quale scrive “Mi prendo io tutta la colpa”.
Pazze o crudeli?
Il processo inizia poco dopo. L’unica strada che la difesa può percorrere è quella dell’infermità mentale. Le ragazze hanno confessato, l’arma del delitto c’è e così anche il movente.
Ci sono poche speranze di evitare la peggiore delle condanne.
Gli avvocati di Juliet e di Pauline iniziano a costruire un racconto di incapacità di intendere e di volere delle giovanissime assassine, che non si sarebbero rese conto di quello che stavano facendo.
Le parole che vengono pronunciate sono “paranoia” e “folie à deux”, ovvero il disturbo psicotico condiviso, una sindrome psichiatrica piuttosto rara nella quale la paranoia o la psicosi delirante viene trasmessa da una persona a un’altra.
Viene chiamato a testimoniare un perito, il dottor Reginald Medlicott, che spiega di aver letto i diari e le lettere e di aver parlato con entrambe le ragazze.
Juliet e Pauline, racconta, hanno attraversato difficoltà fisiche ed emotive fin da piccole. I problemi di salute, la sorella di Pauline con la sindrome di Down, un fratellino nato morto prima della sua nascita.
Due ragazze “strane”
Ma il dottor Medlicott ha anche un’altra teoria: che la relazione tra le due adolescenti abbia un risvolto omosessuale [ai tempi l’omosessualità era ancora considerata una malattia psichiatrica, N.d.R.].
Spiega di aver letto nei diari delle ragazze di abitudini “strane”, come dormire o fare il bagno insieme. E poi c’è quella pagina del 12 giugno, in cui raccontano di aver sperimentato “come ciascuno dei santi [i loro personaggi fittizi, N.d.R.] avrebbe fatto l’amore. Dopo, eravamo esauste ma soddisfatte”.
Nei diari ci sono anche riferimenti a una possibile “carriera” nella prostituzione – Juliet e Pauline si chiedono quanto si possa guadagnare –, di furti dalla cassaforte del padre di Juliet, di ricatti e molto altro. Secondo il dottor Medlicott, le due giovani sono affette da paranoia: non sane di mente.
C’è anche un altro medico che testimonia per la difesa, il dottor Francis Bennett. Lui sostiene che l’omicidio è la prova della diagnosi di paranoia.
Il movente
La minaccia della separazione è la molla che fa scattare il tutto. Il paranoico, se minacciato, diventa pericoloso.
I medici dell’accusa hanno un’altra opinione. Le ragazze non sono paranoiche, non sono pazze. Sono estremamente intelligenti e sapevano benissimo ciò che stavano facendo.
Nei diari è chiara la premeditazione, l’organizzazione lucida e meticolosa dell’omicidio.
Nei colloqui con i medici, sia Juliet Hulme che Pauline Parker dicono di rendersi perfettamente conto che uccidere è un reato e di aver fatto il possibile per non essere scoperte.
Così, la giuria si trova di fronte a due versioni: quella della difesa, che racconta di due adolescenti problematiche e fragili, che hanno agito in preda alla paranoia e non si sono rese conto della gravità del loro gesto.
E quella dell’accusa che le dipinge invece come perfettamente padrone della situazione, responsabili delle loro azioni e che come tali andrebbero giudicate.
“Non sono pazze incurabili. Sono cattive incurabili”, conclude l’arringa dell’accusa.
Il 28 agosto 1954 il processo attende l’ultimo atto.
La sentenza Parker Hulme
Il giudice, prima che la giuria si ritiri, fa un’ultima domanda: “Le menti delle ragazze erano così confuse da non sapere che ciò che stavano commettendo era sbagliato?”.
La giuria ci mette due ore e quindici minuti per dare una risposta. E la risposta è no. Non erano confuse e sono colpevoli. Ma sono anche minorenni.
La sentenza è il carcere “at her Majesty’s pleasure” [a discrezione di Sua Maestà, la Regina di Inghilterra, essendo la Nuova Zelanda parte del Commonwealth Britannico, N.d.R.] termine legale usato all’epoca per indicare una pena indeterminata, a tempo indefinito, al posto dell’ergastolo per i minori giudicati colpevoli di gravi reati.
La notizia secondo la quale fu inserita la clausola che Juliet Hulme e Pauline Parker dovessero restare separate, senza più entrare in contatto l’una con l’altra è poi stata smentita.
Le ragazze passarono cinque anni in prigione e poi furono rilasciate. Di loro si persero le tracce per molti anni.
Il sogno realizzato
Un giorno, nel 1997, Chris Cooke, giornalista neozelandese bussò alla porta di Hilary Nathan, una signora di mezza età, insegnante di equitazione per bambini a Hoo St Werburgh, un tranquillo villaggio nel Kent.
Hilary non fu molto gentile con lui e si rifiutò di parlare della sua storia, ovvero quella di Pauline Parker, che uccise sua madre nel 1954 con una pietra avvolta in un collant.
Le ragazze avevano un grande sogno. Quello di diventare famose scrittrici. Pauline cambiò radicalmente strada ma Juliet Hulme rimase ferma nel suo proposito. Anche lei, come l’amica, svanì nel nulla per molti anni.
Dalla realtà al film
Ma quando nel 1994 uscì nelle sale Creature del Cielo, il film di Peter Jackson sui fatti di Christchurch, furono in molti a mettersi sulle tracce delle due protagoniste.
E fu così che gli editori di una nota scrittrice di gialli che viveva nelle Highlands scozzesi, Anne Perry, vennero a sapere che la loro prolifica autrice era Juliet Hulme, ormai ultracinquantenne.
Dopo aver vissuto negli Stati Uniti per alcuni anni ed essere diventata mormona, Anne-Juliet pubblicò il suo primo romanzo nel 1979.
Per poi arrivare a pubblicarne una cinquantina, tutti di successo, in particolare la serie di William Monk, pubblicata in italia negli anni Novanta nella collana de Il Giallo Mondadori.
Anne Perry ha sempre mantenuto un grande riserbo sul suo passato, rifiutando le interviste e apparendo solo in uno show televisivo inglese, Trisha, nel 2005, per parlare della vicenda.
Una sua biografia molto interessante è The search for Anne Perry, di Joanne Drayton, uscita nel 2012 per la Harper Collins.
Se la vicenda vi ha appassionato, cercate immediatamente il film Creature del cielo (Heavenly Creatures), uscito nel 1994 con la regia di Peter Jackson, poi regista della trilogia de Il Signore degli Anelli.
Una giovanissima Kate Winslet, al suo debutto prima della consacrazione con Titanic, interpreta la bella e fragile Juliet Hulme. Pauline Parker ha il volto ombroso e inquietante di Melanie Jayne Lynskey.
Jackson racconta la vicenda con una pellicola visionaria, a tratti poetica e a tratti durissima, che rappresenta perfettamente la spirale di distacco dalla realtà e di pericolosa simbiosi delle due adolescenti.
Per le quali, però, si prova anche tenerezza. Fino alla terribile scena finale.